Nighthawks

Fin da principio, all’atto di rinnovare e ingrandire il flagship store, fu chiaro che l’intervento sulle vetrine sarebbe stato decisivo. Lo stile classico dell’ abbigliamento rivisitato col gusto contemporaneo suggeriva un modo di comunicare il prodotto ai potenziali clienti in una forma anticonvenzionale. I supporti espositivi che il mercato offriva avevano il torto di svilire il pregio e la fattura dei nostri capi, impedendo di valorizzarne la qualità sartoriale. Non solo, la tradizione che legava il marchio a esperienze di supporto di certe manifestazioni artistiche , imponeva uno sforzo inventivo e di talento che si riflettesse anche nella esposizione destinata alle vetrine.

L’orientamento di fondo fu quello di attenersi a delle forme pure, che facessero della leggerezza e della linearità quasi geometrica un elemento caratterizzante.

La particolare conformazione del flagsip store con uno spazio angolare dove galleggia un originale e scenografico ascensore di cristallo, offriva un palcoscenico naturale che invitava a delle installazioni più coraggiose.

Per questo la sfida più difficile fu un’altra: in luogo di convenzionali manichini rigidi, impersonali ed anonimi, furono messi in opera dei manichini snodabili, perfettamente articolabili in ogni loro parte, dotati di una stabilità naturale che non richiedesse alcun antiestetico supporto per mantenerli in posizione eretta. Per il viso e le mani si ricorse a dei calchi di modelli umani, corredati di capelli e bulbi oculari che avevano il pregio di proseguire approfondendo questa stessa via di ricerca di personalizzare i manichini, con una loro specifica identità.

L’esito complessivo fu giudicato soddisfacente anche in ordine alla vestibilità dei capi che assumevano in tal modo aria e sapore di vita vissuta.

Qui, facendo riferimento esplicito a un noto dipinto di Edward Hopper del 1942 “Nighthawks” (“I nottambuli”), conservato al The Art Institute of Chicago, si scelse la via di una libera citazione, affettuosa e ironica, col risultato di rappresentare in modo teatrale una vera “tranche de vie”. L’aggiunta di una figura femminile vivente permise quel gioco tra realtà e finzione, tra “vero” e “falso”, che è la cifra concettuale dell’intera operazione. La modella vivente, opportunamente istruita, interrompe di tanto la propria studiata fissità, con minuti movimenti e cambi espressivi che demistificano a tratti il gioco tra natura ed artificio, senza tuttavia turbare la “poesia del silenzio” di Hopper. L’illuminazione di stile teatrale contribuisce a “incidere” le figure in una sorta di “tempo fuori del tempo”, per fissare la realtà della scena nei modi dell’astrazione.

L’obbiettivo è quello di fissare un minuto frammento di vita/artificio, quasi un fotogramma di un’immaginaria pellicola.



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